Ha senso costruire “Nuovo Ospedale” e “Campus” universitario in una zona che l’Aipo considera a rischio esondazione?
L’anniversario della disastrosa alluvione del novembre ’94 del fiume Tanaro non ha prodotto, come sarebbe stato doveroso, una seria analisi sulla condizione della sicurezza idraulica e dei rischi tutt’ora presenti per la città di Alessandria e, in particolare, per le aree ritenute dall’Autorità di bacino inondabili, nel caso di un evento catastrofico. Analisi e studi quanto mai necessari soprattutto dopo gli anni, 2020-‘21, nei quali, per effetto dei cambiamenti climatici, gli eventi meteorologici estremi (incendi, alluvioni, tempeste, trombe d’aria) si sono intensificati e diffusi e, nel mese di agosto ‘20, hanno interessato anche la nostra città. E’, di conseguenza, fortemente auspicabile che, in previsione del prossimo rinnovo dell’Amministrazione comunale, i programmi dei candidati alla carica di sindaco abbiano tra le priorità i provvedimenti necessari a preservare l’abitato da future inondazioni e, doverosamente, ne informino i cittadini.
A tale proposito e opportunamente il professor Bruno Soro – che da abitante degli Orti ha direttamente vissuto la tragica e luttuosa alluvione del ’94 – ha, di recente, sollevato forti dubbi sulle sedi scelte dall’Università per il “campus” e dalla giunta comunale per il “nuovo” ospedale, in quanto entrambe in aree soggette a possibile esondazione delle piene del Tanaro.[1]
Se ancora esistessero dubbi sul fatto che gli interventi attuati e i lavori eseguiti non sono in grado di garantire la sicurezza idraulica dell’abitato è giusto ricordare come la piena del novembre 2016, pur con valori di portata decisamente inferiori a quella del ’94, non ha superato gli argini, nel tratto cittadino, solo per pochi centimetri.
Mancando, infatti, una costante manutenzione in alveo, come è stato nel passato e come sarà, molto probabilmente, nel futuro è del tutto improbabile che le sezioni ricalibrate del Tanaro riescano a conservarsi per la sola azione della corrente, ma finiranno con il ridurre progressivamente la loro capacità di portata favorendo la formazione di depositi e di ostacoli. Basti ricordare che questa negativa tendenza aveva comportato, prima della piena del novembre ’94, l’ostruzione di tre luci del ponte ferroviario e di ben cinque del Ponte Nuovo.
Per ridurre in modo significativo il rischio idraulico torna, così, ad essere risolutiva la costruzione di invasi appositamente predisposti per la moderazione dei colmi di piena da realizzare a monte di Alessandria. Costruzione ritenuta necessaria dai dirigenti Aipo nel maggio 2010, in sede di Consiglio comunale[2], confermata dagli stessi responsabili nel novembre 2015 con l’annuncio del completamento del progetto preliminare[3], e considerata (la cassa di laminazione a monte di Alessandria) prioritaria sia dal PAI (Piano Assetto Idrogeologico) che dal PGRA (Piano Gestione Rischio Alluvioni) e indicata come urgente, nel luglio del 2020, dal segretario generale dell’Aipo e dall’assessore regionale alla Difesa del Suolo.[4]
Progetti e propositi rimasti sulla carta credo, soprattutto, per il mancato e determinato impegno degli enti locali alessandrini, Comune e Provincia, nel rivendicare i finanziamenti necessari e sollecitare l’attuazione dell’opera capace, in occasione delle piene, di contenere nell’invaso un significativo numero di milioni di metri cubi d’acqua e ridurre in maniera significativa le quote idrometriche del fiume, garantendone il passaggio in città entro margini di sicurezza.
Condivido poi, con il professor Soro, che l’area dove ubicare il “campus”, oltre a dover essere preventivamente discussa con le amministrazioni pubbliche, avrebbe potuto, più opportunamente, individuare un sito meno periferico e più sicuro, come (per tralasciare una volta la “Cittadella) la caserma Valfré, la cui straordinaria bellezza i cittadini di Alessandria stanno scoprendo in questi mesi come centro vaccinale.
E’ certo apprezzabile che il rettore dell’UPO, come ha dichiarato, sia venuto in città in incognito per ricercare il sito più idoneo dove insediare il “campus”, ma va da sé che, non essendo di Alessandria, non può conoscere i suoi punti di debolezza e le sue migliori opportunità. Meraviglia poi che una tale scelta, di natura strategica, che presenta inevitabili conseguenze sull’assetto e lo sviluppo urbanistico del capoluogo, non sia stata oggetto di approfondito dibattito da parte del Consiglio comunale. Personalmente, poi, non mi convince, come è stato affermato, che la realizzazione del “campus”, di per sé, renderebbe Alessandria “città universitaria”. Penso, al contrario, che la concentrazione delle facoltà in una sede unica e periferica, distante dal centro, oltre al rischio idraulico, finirebbe per isolare l’Università dal contesto cittadino. Una città diventa universitaria se la sua presenza è visibile e diffusa nella città e se si collega e rapporta con le diverse istituzioni scolastiche, il conservatorio, la biblioteca civica, l’ISRAL e le associazioni culturali e sociali presenti. Come, ad esempio, è successo a Trento. Una realtà, per abitanti e territorio, non molto diversa da Alessandria. E dove si sono recuperati e valorizzati storici contenitori della città, mentre qui si pensa di svuotare palazzo Borsalino che, ricordo, fu scelto di comune accordo tra l’Università di Torino e gli Enti locali. Oltretutto dopo avervi, anche recentemente, investito significative risorse per adeguare i locali e realizzare l’aula magna. Interventi che, tra l’altro, hanno comportato il trasferimento del “museo del cappello”.
All’indicazione del “campus” da parte dell’UPO è seguita, quasi come obbligata imitazione, da parte del Comune, quella del “nuovo” ospedale in piazza d’Armi, un’area, l’attuale aeroporto che, ricordiamo, nel ’94 è stata completamente sommersa dalle acque. Anche qui è la scelta più opportuna e sicura visto che si tratta della realizzazione di una struttura sanitaria con una valenza e un interesse superiore allo stesso ambito provinciale?
In questo caso, come per il “campus”, mi sembra che la destinazione sia stata affrontata in modo superficiale e, soprattutto, carente di comparazioni con altre e diverse soluzioni. Anche se, almeno qui, siamo in presenza di uno studio preliminare presentato in Commissione e ad un avvio di discussione tra la Giunta e i consiglieri.
Per quanto riguarda il nuovo ospedale riterrei doveroso prendere in considerazione e valutare altre soluzioni come, ad esempio, il riutilizzo in toto dell’attuale sede dell’ex ospedale psichiatrico a suo tempo in grado di ospitare sino a 1400 pazienti. Un grande contenitore in area sicura, adiacente all’ospedale civile, oggi in gran parte inutilizzato. Oltre a favorire al massimo il trasferimento delle attrezzature e degli impianti, non richiederebbe nuove opere per adeguare la viabilità e, fatto non secondario, non comporterebbe nuovo consumo di suolo.
In ogni caso se, sia per il “campus” che per il “nuovo” ospedale, si ritenesse di procedere mantenendo le attuali destinazioni occorrerà tenere presente che, per cercare di garantirne la sicurezza, sarà necessario affrontare, per la progettazione e la realizzazione, spese significativamente maggiorate.
Una ragione in più per riportare al centro delle priorità della presente e futura Amministrazione il tema della messa in sicurezza idraulica della città con l’urgente realizzazione di adeguati invasi a monte dell’abitato. Avendo sempre presente che con l’aumento e l’intensità dei fenomeni climatici estremi il futuro è già tra noi.
Renzo PENNA
Alessandria, 18 gennaio 2022
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